Maria Grazia Guida, presidente dell’associazione Amici Casa della carità, ha partecipato all’ultimo viaggio di MEAN in Ucraina, avvenuto tra l’11 e il 14 marzo, per l’inaugurazione e la consegna del Villaggio della pace alla comunità di Brovary, cittadina di circa 100 mila abitanti a 20 chilometri a Nord-est di Kiev.

Qual è il senso della partecipazione della nostra associazione a questa iniziativa?

Amici Casa della carità è stata tra le prime realtà di tutto il territorio nazionale ad aderire al Movimento europeo di azione non violenta. In questi dodici mesi abbiamo seguito da vicino l’evoluzione delle varie fasi di attività e partecipato a diverse altre iniziative. Questo viaggio, con tutta l’operazione del “Peace Village”, è in continuità con quanto fatto finora. L’obiettivo è stato di dare un segnale di pace in una città particolarmente segnata dalla guerra.

Come mai è stato scelto proprio il Comune di Brovary?

Qui, lo scorso 18 gennaio, c’è stato un incidente di elicottero in cui hanno perso la vita il ministro dell’Interno dell’Ucraina Denys Monastyrs’kyj, un suo vice e il segretario di Stato dello stesso ministero. Il velivolo è precipitato nei pressi di un asilo causando la morte di almeno altre diciotto persone, di cui tre bambini, e il ferimento di altre ventinove, tra cui quindici bambini. Il pensiero è stato quello di donare a questo luogo degli spazi dedicati innanzitutto ai più piccoli.

Che cos’è, e cosa rappresenta, il “Peace Village“?

Si tratta di tre moduli edificati molto velocemente con strutture metalliche, senza cementificazione. In questo senso, è stato fondamentale l’apporto dell’architetto Mario Cucinella di Bologna, un archistar attento all’ambiente e alle fragilità, che ci ha anche accompagnato in questo viaggio. Sono rifugi caldi, con la corrente elettrica, dove bambini, ma anche anziani e giovani possono trovare momenti di socialità al riparo dagli orrori della guerra. Ma questo piccolo Villaggio della pace è anche il segno, non solo simbolico, di una collaborazione attiva, oltre la semplice donazione. Si è creata una forte e significativa relazione con chi in breve tempo ha realizzato l’opera.

Com’è la situazione in Ucraina vista da dentro?

Oltre a Brovary abbiamo visitato molti Comuni della cinta attorno a Kiev, che sono tra i più colpiti dall’occupazione russa. La martoriata Bucha non è molto distante da qui. Queste sono zone che comunque stanno resistendo anche a costo di gravi perdite in termini di vite umane. Abbiamo incontrato sindaci e amministratori, che ci hanno spiegato com’è complesso mantenere coesa una comunità in un stato di guerra. C’è il coprifuoco e gli allarmi bomba sono continui. In particolare, sono le donne con la loro capacità di resilienza e il loro impegno costante a tenere acceso il senso di comunità.

La popolazione come vive questa situazione?

A un militare con cui ho avuto modo di parlare ho chiesto quale fosse la sua speranza per il futuro. Mi ha risposto che sogna un Paese dove si stia bene, in pace, dove l’economia funzioni e non ci sia più corruzione. A un incontro in università con degli studenti di architettura, che hanno assistito a una lezione di Cucinella, ho sentito parlare con entusiasmo di voglia di ricostruire anche se in modo diverso rispetto al passato. In generale, ho avvertito il bisogno di una normalità che però sia nuova e rinnovata, non in continuità con quanto accadeva prima dell’occupazione.

Qual è l’aspetto più significativo che riporti a casa dopo quest’esperienza?

Questo viaggio ci ha dato la possibilità di stringerci attorno a questi luoghi di frontiera e alle comunità di persone che li abitano, provando a lasciare un segnale di pace e un messaggio di speranza. Mi ha colpito molto l’attenzione verso i più piccoli. Parlando di ricostruzione tutti pensano a creare degli spazi all’aperto dedicati al gioco dei bambini quasi a simboleggiare il bisogno di riappropriarsi di un futuro di vita e di pace.

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